La Disforia di Genere
La disforia di genere è un disturbo dell’identità per cui la persona non si identifica nel proprio genere (viene spesso infatti chiamato DIG).
Di conseguenza alla disforia, ci si rifiuta di riconoscere le caratteristiche sessuali primarie o secondarie biologiche, adattando le proprie manifestazioni al genere a cui ci si sente di appartenere.
Spesso le persone che si sentono in questo modo iniziano un percorso di terapie ormonali e/o interventi chirurgici volti a “correggere” la propria apparenza, con lo scopo ultimo di conquistare quel riconoscimento sociale riservato al genere prediletto di cui desidera far parte, per poi richiedere la documentazione necessaria che riconosca legalmente la transizione.
In molti transgender la disforia di genere comincia a manifestarsi dall’infanzia ma esistono altrettanti casi dove la propria identità si manifesta in età adulta. In qualsiasi caso, questo implica una serie di alterazioni del concetto di “normalità” per cui oggi il tentativo di vivere rispettando tali canoni è una sfida costante. La società deve comprendere che non si tratta di una patologia o di una malattia, ma indica semplicemente la diversità degli esseri umani.
La sessualità, intesa come identità e comportamento, si costruisce percorrendo strade ostacolate dalla discriminazione, dalle problematiche legate all’influenza diffusa degli stereotipi di genere e delle ideologie binarie, sessiste, omofobe e transfobiche, a cui conseguono abusi e bullismi. Chi sperimenta il cambiamento durante l’infanzia non è esente da tali forme di esclusione.
Per i bambini che attraversano la DIG esistono oggi ancora poche associazioni a cui rivolgersi, insieme ai genitori, per ottenere gli strumenti necessari con cui affrontare il processo di transizione o trovare un modello adulto di riferimento o semplicemente un supporto valido.
A questa mancanza si aggiunge anche un problema fondamentale causato dal sistema educativo e dalle istituzioni scolastiche che, senza gli strumenti e i metodi didattici adatti, non sono in grado di promuovere la cultura della parità di genere, a scapito degli stereotipi sopra elencati, per eliminare i concetti binari, il sessismo, l’omofobia e la transfobia, a favore dell’integrazione sociale di ogni bambino.
Negli ultimi anni alcuni gruppi di attivisti in diversi paesi hanno tentato di smuovere le acque in direzione di un cambiamento, ma sta a noi continuare a promuovere una consapevolezza che accompagni i bambini transgender nel loro viaggio verso la felicità, rendendo il percorso più semplice, senza incappare negli stereotipi o nell’idea, ancora troppo diffusa oggi, dell’essere malati o anormali. Per questo, è importante mettere in discussione il sistema normativo sociale corrente.
Oltre a sperimentare l’emarginazione e a essere vittime di episodi di bullismo le persone transessuali vivono con una percezione distorta di ciò che è il proprio essere, ricercano quindi costantemente dei modi per esprimere la loro identità a costo di affrontare dei cambiamenti fisici radicali.
Dal mio punto di vista, chi combatte quotidianamente per essere riconosciuto all’interno della società ha la stoffa del guerriero, è coraggioso/a e noi dobbiamo accoglierlo/a, abbracciandone la diversità. Si tratta di individui che devono superare il dolore provocatogli dall’imposizione di ciò che “dovrebbe essere” la loro identità sessuale e dall’ambiente da cui sono circondati, sono persone che, come molti, ricercano e meritano tolleranza, amore e rispetto.
È un percorso difficile anche per le loro famiglie e per l’ambiente in cui vivono ed è quindi necessario che vengano sostenuti dai parenti e dalle persone a loro più vicine attraverso un processo di accettazione e di presa di coscienza della disforia di genere. Il percorso non sarà semplice, neppure per i parenti: dovranno fare i conti con una situazione in cui la persona che conoscevano un tempo è ora cambiata.
Spesso questo percorso e l’accettazione è più difficile per chi scopre la disforia di genere in età adulta, ed è quindi sempre stato un maschio o una femmina agli occhi dei genitori e di chi gli sta affianco, che devono quindi imparare ad accettare la novità. Per chi invece conosce la disforia già dall’infanzia, che rappresenta di per sè un momento di transizione e di creazione del proprio io, a patto che ci sia il supporto necessario, può essere un percorso meno di impatto per i famigliari.
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Oltre alle problematiche di natura psicologica, emotiva e sociale che le persone con DIG affrontano c’è anche l’importante decisione di trasformare il proprio corpo e aspetto fisico verso il genere al quale ci si sente di appartenere, passaggio che include anche e gli organi genitali. È lo step più difficile: non solo richiede la partecipazione di un team multidisciplinare di specialisti, ma anche un supporto a 360°, considerando le conseguenze totalmente o parzialmente irreversibili delle cure ormonali.
A tale processo deve seguire un percorso di supporto e di guida del bambino o dell’adulto e della sua famiglia nella costruzione del genere. Ricordo che l’identità sessuale e di genere fa parte della personalità, trattandosi di un sistema dinamico che si sviluppa in una relazione reciproca con l’ambiente e che include anche una predisposizione culturale e storico-sociale.
Tra i cambiamenti più drastici possiamo citare gli interventi di transizione, chiamati interventi di cambio di sesso, eseguiti per effettuare la transizione dal genere disforico a quello desiderato. Generalmente, l’intervento chirurgico è l’ultimo step nel processo di transizione fisica, ma non è una decisione che deve essere presa con leggerezza. Molti centri di salute richiedono ai pazienti la diagnosi di disforia di genere e di sottostare a delle consulenze per determinare se siano pronti alla transizione chirurgica.
Si tratta dunque di un percorso lungo e complesso.
Credo fermamente che la società abbia la responsabilità non solo di esercitare tolleranza e portare rispetto, ma anche di cambiare le norme sociali attuali in quanto le persone disforiche sono degne di un applauso, di supporto e di essere accettate, perché chiunque abbia il coraggio di sentirsi bene con se stesso merita rispetto e ammirazione.