Esiste Davvero un Corpo da Spiaggia?
Non ho mai amato andare in spiaggia. È così da quando sono adolescente. Ho sempre avuto un corpo che percepivo diverso da quello che gli standard invece mi chiedevano - sono stata adolescente a fine anni ‘90/2000, il boom più spudorato di Photoshop.
All’inizio a mettermi a disagio erano i peli - orrore, nella mia mente una cosa terribile - che già a 10 anni popolavano il mio corpo, mentre cercavo di lottare con mia madre (bionda, molto poco pelosa ed ex figlia dei fiori) per potermi depilare.
Qualche mese dopo sono arrivate le mestruazioni e la paura di sporcarmi, il mito dei tampax (che le vergini, secondo mitologia ben radicata, non possono usare e che quindi nemmeno io usavo) e l’orribile esperienza di mettersi gli assorbenti esterni sul costume. E se mi esce da un lato e si vede? Quindi no, la soluzione era essere l’unica con i pantaloncini e non poter fare il bagno. Poi sono arrivati gli ormoni, la cellulite, le curve. E da lì, ogni anno, per me l’idea dover andare a comprare un costume (e poi mettermelo) era (e tutt’oggi è) uno stress.
Non c’era IG, ma c’erano le modelle super magre spinte all’anoressia, la vita bassa e le taglie così striminzite che avere una 42 era già un’impresa. Non esisteva una Ashley Graham o una Lizzo, o meglio, esistevano ma io/noi non lo sapevamo. Non c’era nemmeno l’ombra della body positivity che oggi invece ha iniziato a illuminare le menti anche in Italia.
Non c’era spazio per rappresentare e validare corpi diversi dai canoni imposti da quello specifico periodo storico. Non c’erano i costumi assorbenti per il ciclo. Non si vedevano corpi femminili pelosi, se non qualche donna più adulta (tipo mia madre che aveva già fatto tutto quel percorso di emancipazione del corpo delle donne che poi, tragicamente, ad un certo punto si era evidentemente perso).
Da un lato quindi, guardando all’esperienza della mia generazione verso le nuove, penso che quest’ultime siano molto più fortunate perché hanno il privilegio, a portata di smartphone, di poter aprire i propri orizzonti, mettere in discussione gli standard, confrontarsi con gli altri, avere la diversità a portata di scroll e di conseguenza potersi sentire più rappresentate di quanto lo siamo state noi. Hanno il grande onore di poter capire molto più in fretta quali sono i privilegi dell’essere, per esempio, una donna bianca, abile e con un corpo conforme.
E proprio per questo dovremmo imparare da loro anche a mettere in discussione il nostro modo di vedere il corpo, che non vuol dire sminuire l’esperienza di ognuna ma guardare oltre e renderci conto anche di quali sono quelle delle altre.
Certo, non possiamo pensare che la possibilità di accedere a persone, contenuti, corpi, esperienze diverse sia la bacchetta magica con cui tutte ci possiamo liberare di decenni di diktat su come il nostro corpo dovrebbe essere per essere un bel corpo; purtroppo la cultura generalista nella quale viviamo certe cose ce le ha inculcate comunque nel cervello fin da piccole. Ma di sicuro, oggi ci sono molte più opportunità.
Cosa ci serve quindi oggi per avere un corpo da spiaggia? La risposta che popola i nostri feed sui social è: avere un corpo e andare in spiaggia. Ma è davvero così semplice? Sarebbe la svolta.
Può forse esserlo per le persone abili - con una serie di asterischi comunque - ma per quelle con disabilità? Purtroppo avere un corpo non è sufficiente se poi la spiaggia non ti permettono di raggiungerla. Mettersi un costume non è facile, se quelli della tua taglia sono più rari di una mosca bianca.
Il famoso problema della “prova costume”, termine che odio profondamente e che comunemente associamo all’ansia di non avere un corpo tonico e magro, nasconde molto più di questo. Spingiamoci a vedere oltre il nostro punto di vista e a capire come oltre alla prova costume c’è, ad esempio, la prova “raggiungimento spiaggia” che è oltremodo discriminante. Andare in spiaggia dovrebbe essere aperto a chiunque lo voglia.
E invece meno del 10% delle spiagge italiane sono accessibili alle persone con disabilità. Ci sono 6823 stabilimenti balneari nel nostro paese, ma solo 650 (secondo l’ultimo screening fatto dal blog InVisibili) sono attrezzate per permettere alle persone con disabilità di vivere una sana giornata di mare, dove non ci sono solo le passerelle per raggiungere la sabbia ma anche le sedie per andare in acqua, i bagni e le docce accessibili.
Quando pensiamo quindi all’estate, e ci viene l’ansia per mille ragioni diverse, pensiamo che è uno stress collettivo e che insieme, magre, grasse, persone trans e con disabilità, ognuna con il suo bagaglio, possiamo allargare i nostri orizzonti e lottare anche perché si allarghino i diritti di tutt*, a partire da quello di ogni corpo di essere valido e rappresentato.